Il figlio maggiorenne precario conserva il diritto al mantenimento
La cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, che abbia riguardo all’età, allo effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, da parte dell’avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 11 febbraio 2025, n. 3552.
All’esito del giudizio di divorzio, il Tribunale aveva tra l’altro posto a carico del padre il versamento di un assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne.
Successivamente, il genitore aveva nuovamente adito il Tribunale, chiedendo di revocare tale assegno di mantenimento, stante la sopraggiunta autosufficienza economica del figlio, il quale, ormai da tempo, svolgeva un’attività lavorativa e, peraltro, si era completamente disinteressato della cura del genitore gravato dell’assegno, il cui stato di salute era peggiorato negli ultimi anni
Il Tribunale ha tuttavia rigettato la domanda di revoca dell’assegno, reputando che il ricorrente non avesse provato il fatto estintivo dell’obbligazione di mantenimento, costituito dalla condizione di autosufficienza economica del figlio.
A seguito del reclamo del padre, la Corte di appello ha nella sostanza confermato la decisione di prime cure, sul profilo evidenziato.
Nel caso di specie, la Corte di merito aveva già precisato come il provvedimento di prime cure contenesse un congruo apparato argomentativo in ordine alle ragioni che giustificavano la decisione di rigetto dell’istanza di revisione, sulla base del principio per il quale l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, protraendosi qualora lo stesso, senza sua colpa, sia ancora dipendente dai genitori. I giudici di merito, in particolare, hanno posto in rilievo: il brevissimo lasso di tempo trascorso tra la proposizione del ricorso e il conseguimento del diploma di laurea; la circostanza che il figlio fosse ancora legittimamente (anche in relazione all’età) impegnato in un percorso di formazione specializzante e di acquisizione delle necessarie competenze da spendere in futuro nel settore lavorativo di riferimento; l’impegno profuso dal medesimo, con esito positivo, nella ricerca di un’occupazione, pur non corrispondente alla professionalità acquisita, alle proprie aspirazioni e al suo titolo di studio; l’esiguità dell’importo corrispostogli a titolo di retribuzione; infine, la durata del (precario) rapporto lavorativo.