Il superiore interesse della prole : dalla patria potestà alla responsabilità genitoriale
Tratto peculiare del contenzioso familiare è la prioritaria rilevanza da attribuirsi al cosiddetto interesse superiore della prole, tale concetto è stato introdotto per la prima volta a livello internazionale dalla Convenzione di New York su i diritti del fanciullo del 1989 ,a cui è seguita la Convenzione di Strasburgo del 1996 ratificata con l L n 77/2003 ed introdotta nel ordinamento italiano solo tre anni più tardi con la legge sull’affido condiviso l n 54/2006 poi modificata e stravolta dal d.lg 28 dicembre 2013 n 154.
Nell’ambito di tutti i procedimenti in cui sono coinvolti i minori dunque il superiore interesse della prole deve essere sempre tenuto ben presente da qualsiasi professionista che vi sia coinvolto , l’evoluzione di questo importante assioma ha fatto fatto si che nel nostro ordinamento si passasse da un concetto di potestà genitoriale termine antico che ricorda la potestà di diritto romano sugli schiavi ovvero l’esercizio di un potere cui corrispondeva la totale soggezione di chi vi fosse sottoposto, una soggezione tale da tradursi anche nello ius vitae ac necis, il padre avrebbe finanche potuto uccidere colui che fosse soggetto al suo tremendo potere.
Vincenzo Arangio Ruiz, nelle sue Istituzioni di diritto romano, tuttavia, evidenzia come il rigore della patria potestà fu, sin dall’inizio, mitigato dal costume; fu la convergenza di giurisprudenza e legislazione, segnatamente nel periodo imperiale, a determinare l’attenuazione dell’antico vigore della patria potestas.È lo stesso autore ad evidenziare che, già nel diritto giustinianeo, gli insistiti richiami al vigore della patria potestas sono da intendersi come ossequio ad una tradizione superata, anziché espressione del diritto vigente. In altri termini, già in epoca giustinianea, cominciò a designarsi con l’espressione patria potestà qualcosa di affine alla moderna funzione del genitore di educare e proteggere la prole. Avvicinandosi ai giorni nostri, il legislatore del 1942, riconobbe il “carattere pubblicistico” dell’istituto della patria potestà e in esso vide la “affermazione del principio giuridico della sottoesposizione dei figli al potere familiare dei genitori” (così, il Punto 166 della Relazione al Re del 16 marzo 1942), in questo modo riaffermando il rapporto potestà-soggezione, nel solco della tradizione romanistica. Fu la Legge n. 151/1975 a modificare, già nell’intestazione, il titolo IX del libro I del Codice Civile. Da lì in poi non si sarebbe più potuto parlare di “patria” potestà, bensì di potestà “genitoriale”. Il lessico giuridico, tuttavia, come ben sanno i frequentatori abituali delle aule giudiziarie, conserva un elevato grado di vischiosità; nella prassi, infatti, sovente si ritrova ancor oggi negli atti giudiziari il riferimento, dal sapore antico, alla “patria” potestà, in luogo di quella che il legislatore del 1975 aveva profilato quale potestà genitoriale, cioè di ambedue i genitori (e non del solo padre). Il mutamento, peraltro, era reso evidente sin dalla rubrica del richiamato titolo IX: non più “Della patria potestà”, bensì “Della potestà dei genitori”. A dispetto della potenza delle leggi, capaci di mandare al macero intere biblioteche, come recita l’antico detto, è difficile svellere radicati usi linguistici. L’evoluzione interpretativa, specie sulla scorta dei principi enunciata dalla Costituzione repubblicana, in realtà, aveva – già prima del 1975 – condotto ad esiti ermeneutici nuovi. La potestà genitoriale, per opera della giurisprudenza, era già stata ridisegnata quale esercizio di una funzione, di un munus diretto a realizzare gli interessi della prole e non quelli di chi ne fosse investito. Significativa, in proposito, è – tra le tante – la Sentenza 7 novembre 1985, n. 5408, ove si riconosce che la potestà genitoriale costituisce un ufficio di diritto privato, in quanto deve essere esercitata nell’interesse esclusivo del minore, il che non esclude che il genitore, verso lo Stato e verso i terzi, abbia un vero e proprio diritto soggettivo alla titolarità dell’ufficio e all’esercizio personale e discrezionale del medesimo, con l’unico limite di indirizzarlo verso il soddisfacimento delle sole esigenze del minore. La sostituzione del concetto di potestà con quello di responsabilità genitoriale fatto con il dlgs 28 dicembre 2013 n 154 lo si deve inserire quindi nell’evoluzione del concetto di supremo interesse del minore , con il termine responsabilità infatti si vuole evidenziare l’aspetto che il genitore ha sul figlio non un potere ma un dovere , e tale rimarcazione si riverbera su tutta la normativa sulla filiazione indipendentemente dalle norme dell’istituto matrimoniale equiparando i figli naturali a quegli legittimi . La responsabilità genitoriale quindi nella nuova normativa viene trattata in tutta le fasi del rapporto genitore figli , sia nella fase fisiologica sia in quella patologica a prescindere dall’esistenza o meno di un vincolo matrimoniale , rimarcando in questo modo l’importanza del ruolo del minore piuttosto che quello del genitore. Non esiste tuttavia un reale definizione da parte del legislatore di responsabilità genitoriale , tale scelta non è casuale in quanto ripende la scelta fatta dal legislatore del 1942 che non defini la potestà , in modo tale cosi che tale nozione potesse essere riempita di contenuti con l’evoluzione socio culturale dei rapporti genitori figli e possa cosi adattarsi alle evoluzione senza rimanere inchiodata ad una definizione . Si è soliti ritenere quindi che il concetto di responsabilità racchiuda in qualche modo dentro anche la vecchia potestà ovvero sia qualcosa di più ampio rispetto alla stessa , oltre cioè ad un potere il genitore ha anche e sopratutto dei doveri nei confronti dei figli , in altre parole la potestà ha una sua rilevanza ma non un efficacia giuridica . Il concetto di responsabilità come maggiore tutela del minore o più ampiamente del figlio , si differenzia dalla vecchia potestà anche per limiti temporali, in quanto secondo il vecchio ordinamento la potestà genitoriale veniva meno con il compimento della maggiore età , mentre la responsabilità concetto più ampio anche nei limiti temporali che vincola i genitori al mantenimento dei figli fino alla indipendenza economica degli stessi , oltre quindi la maggiore età. Di questa evoluzione normativa socio culturale del rapporto genitore figlio deve necessariamente anche tenere conto l’avvocato all’interno di una risoluzione di una controversia familiare , in quanto è lui il punto di riferimento essenziale ed unico del nucleo familiare in crisi , facendo in modo che i genitori non perdano mai di vista i loro doveri genitoriali , secondo una ricerca di I v Zussman infatti durante le controversie familiari i genitori tendono a diventare egoisti , a scaricare l’uno sull’altro le proprie rabbie e frustrazioni derivanti dalla fine del rapporto , ciò tende a creare il disinteresse , un d’ disinteresse che crescerà in maniera proporzionale al gradi di conflittualità , disinteresse che si manifesta in atteggiamento di severità nei confronti dei figli più piccoli e di minori attenzioni rispetto a quelli più grandi , comportamenti che potranno portare a gravi patologia comportamentali nello sviluppo del minore.1 Tali comportamenti da parte dei genitori possono portare anche a disfunzioni gravi nei confronti del minore stesso, come la sindrome di alienazione genitoriale che anche se non riconosciuto dalla comunità scientifica ed osteggiata anche in sede di approvazione di legge sull’ affido condiviso tanto da toglierla dal testo definitivo della legge come motivo di affidamento esclusivo sostituendo la parola pas , alla più generica violenza fisica e psicologica nel testo definitivo . Molti ricorderanno il caso di un bambino sottratto alla madre dal Tribunale e condotto in una casa famiglia perché, secondo i giudici del tribunale di Venezia, era affetto dalla Sindrome di alienazione parentale (Pas). Ebbene, ora la Cassazione ha dato torto al tribunale di Venezia e assestato un duro colpo alla Pas, una patologia non riconosciuta dalla comunità scientifica: l’Apa (American psychiatric association) non l’ha inserita nel Dsm-v, il manuale diagnostico dei disturbi mentali.2 Comunque la si voglia chiamare è un’aspetto della controversia familiare da evitare perché contrario all’interesse della prole perseguito dalla legge.
1Manuale di mediazione familiare Corrado Bolgioglio Anna Maria Bacherini Ed Franco Angeli