La partner va a vivere con un altro nella casa donata? La donazione va revocata
L’ingiuria grave, richiesta quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale la sua natura di offesa all’onore ed al decoro della persona, si caratterizza per la manifestazione esteriorizzata, mediante il comportamento del donatario, di un durevole sentimento di disistima e di irrispettosità della dignità del donante, contrastante con il senso di riconoscenza che, secondo la coscienza comune, dovrebbe improntarne l’atteggiamento. I doveri di solidarietà reciproca che scaturiscono dalla convivenza di fatto, sebbene connotati da una non coercibilità e da una minore vincolatività non escludono che una condotta irriguardosa possa compromettere il decoro del convivente. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. II, ordinanza 16 dicembre 2024, n. 32682.
Il donante aveva agito in giudizio contro l’ex convivente , per ottenere la restituzione della casa a lei donata in costanza del loro rapporto, adducendo il motivo che pochi giorni dopo il rogito della donazione della casa destinata ad un progetto di vita comune, ne era stato allontanato, e di li a poco l’ ex convivente ci andò a convivere un uomo con il quale tratteneva da tempo una relazione.
Il tutto , trattandosi di coppia conosciuta,rendendo di dominio pubblico la storia anche con frasi di dubbio gusto rilasciate alla stampa.
La donataria si è difesa in giudizio, sostenendo che il donante era per sona coniugata , e pertanto la loro relazione non poteva essere qualificata come convivenza di fatto, e quindi lei non aveva tradito nessuno, e che la casa fosse una sorta di compenso per non aver mai lasciato la moglie.
La Cassazione, richiamandosi ad orientamento consolidato, nei rapporti tra coniugi, confermava la sentenza con cui la Corte d’Appello, ribaltando l’esito del primo grado di giudizio, aveva accolto il gravame, ritenendo che la condotta della donataria integrasse causa di ingiuria grave per il donante.
L’ingiuria grave richiesta come presupposto per l’annullamento della donazione, si caratterizza, indipendentemente dalla qualificazione penale della condotta, attraverso un comportamento del donatario di un durevole sentimento di disistima e irrispettosità della dignità del donante, contrastante con il senso di riconoscenza che dovrebbe invece seguire ad una donazione.
In quest’ottica, non fa alcuna differenza, se l’offesa intervenga nell’ambito di un rapporto coniugale o di una convivenza.
Nel caso in questione, dunque, l’ingratitudine è stata ravvisata non tanto nel fatto del tradimento, posto che in assenza del vincolo coniugale, non c’è norma che imponga l’obbligo di fedeltà, quanto piuttosto, in considerazione delle tempistiche e delle modalità con cui si era appalesato.
Secondo la Corte, infatti, doveri etici, prima che di stretta legalità, avrebbero imposto alla resistente di mettere al corrente il proprio compagno della volontà di porre fine alla relazione, anteriormente al rogito.
Viceversa, il silenzio premeditato al fine di conseguire la liberalità, l’intento sottaciuto e la successiva ed immediata divulgazione della nuova relazione (all’interessato, alla cerchia dei rapporti informali e al pubblico) costituivano una mancanza di rispetto, lesiva del decoro e della dignità del donante.
I doveri di solidarietà reciproca che scaturiscono dalla convivenza di fatto, sebbene connotati da una non coercibilità e da una minore vincolatività non escludono, quindi, che la condotta di un partner possa compromettere l’onore dell’altro, diventando presupposto per una pronuncia di revocazione della donazione per ingratitudine.