La morte del proprio cane lede di per sé beni costituzionali e genera danno non patrimoniale
Il Tribunale di Prato, sentenza 25 gennaio 2025, n. 51, riconosce il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla perdita dell’animale d’affezione, puntualizzando i caratteri di questo peculiare danno ed i casi in cui può essere riconosciuto.
I fatti traggono origine dal decesso di un cagnolino affidato ad un pensione per cani.
I proprietari sono stati informati della morte dalla polizia locale ed al loro arrivo il piccolo si trovava già in avanzato stato di decomposizione .
Veniva successivamente a galla che già diversi giorni prima il cane era stato male: tuttavia, anche quando il custode aveva visto la cagnolina accasciarsi a terra, non aveva contattato né la proprietaria né un veterinario, lasciandolo defungere da solo e cercando di nascondere l’accaduto.
Non solo: presso la struttura venivano riscontrate condizioni igieniche scadenti e violazioni amministrative di vario genere.
I padroni del cagnolino agiscono quindi contra la struttura per la risoluzione del contratto e la conseguente restituzione di quanto pagato per la pensione oltre i risarcimento dei danni .
L’entità del risarcimento del dano veniva dalla parti cosi quantificata : nel prezzo del cagnolino e di quanto spende per la pensione quanto al dano patrimoniale, ed in 48.000,00 Euro per il danno no patrimoniale rappresentato in conseguenza del profondo legame affettivi dell’animale con tutta la famiglia.
La parte convenuta, al di là delle eccezioni di rito e della contestazione della propria responsabilità, affermava la non risarcibilità del danno derivante dalla perdita dell’animale di affezione, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità che si è affermato con le sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione dell’11/11/2018 (nn. 26972, 26973, 26974, 26975), secondo cui tale pregiudizio non sarebbe qualificabile come danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse della persona umana alla conservazione di una sfera di integrità affettiva costituzionalmente tutelata, non essendo sufficiente, a tal fine, la deduzione di un danno in re ipsa, con il generico riferimento alla perdita della qualità della vita.
Il Tribunale pratese -una volta chiarite le complesse questioni inerenti la legittimazione attiva e passiva ed accertate le circostanze del decesso- afferma che tra le parti è intercorso un contratto di deposito, e che, ai sensi dell’
art. 1768, comma 1, c.c., il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia.
L’’attrice ha provato di avere consegnato il proprio cane alla pensione e la morte dell’animale durante il tempo della custodia; ha anche fornito, sebbene operasse al riguardo una presunzione semplice, la prova positiva del buono stato di salute al momento della consegna. Di tuto questo il convenuto non è riuscito a fornire prova contraria ovvero che l’evento dannoso sia sia verificato per cause a lui non imputabili . Pertanto esiste un chiara responsabilità contrattuale da risarcire nel forme richieste dagli attori.
Per quanto concerne invece il danno non patrimoniale il Tribunale di Prato ritene superata l’indirizzo delle sessioni unite secondo i quale il rapporto uomo animale è privo di copertura costituzionale.
L’idea del Tribunale, dunque, è che la perdita in questione “possa determinare la lesione di un interesse della persona alla conservazione della propria sfera relazionale-affettiva, costituzionalmente tutelata attraverso l’
art. 2 Cost., in quanto il rapporto tra padrone e animale d’affezione costituisce occasione di completamento e sviluppo della personalità individuale”.
Pertanto secondo il Tribunale di Prato non è necessario che la morte del cane causi al ricorrente un malattia perché si possa parlare di risarcimento del danno non patrimoniale ma è sufficiente dimostrare una forte legale con l’animale infatti il Tribunale non trascura di considerare i particolari caratteri del caso concreto: era emerso dall’istruttoria che sicuramente i componenti della famiglia avevano instaurato con il defunto cane un lungo rapporto di affetto, dimostrato, ad esempio, tramite le fotografie che rappresentavano la torta per il primo e il terzo compleanno del cane, con tanto di candeline; o argomentando che il cane seguiva ovunque i padroni e dormiva nel loro letto.
Stante questa “relazione affettiva”, equiparata, in sostanza a quella con un essere umano, rende credibile un forte trauma in occasione del decesso dell’animale e pertanto il danno morale viene riconosciuto e liquidato.